Giuliano Briganti

Francesco Mancini

Sant’Angelo in Vado 1679 – Roma 1758

Studio per una scena sacra (la guarigione di un paralitico?)
Matita su carta, mm 330x230

Inedito

Tradizionalmente attribuito a Francesco Mancini, il disegno è uno dei pochi fogli oggi identificati dell’artista marchigiano: moltissimi quelli ancora da rintracciare, considerando che l’inventario redatto in morte del pittore e recentemente pubblicato da Patrizia Tosini ne ricorda, purtroppo senza spendersi in dettagli, almeno quattrocentoventuno a cui si aggiungevano quelli riuniti in volume con fogli di altri artisti (Il testamento e l’inventario dei beni di Francesco Mancini pittore, in “Rivista dell’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte” 26, 2003, 58, pp. 215-229).
Come specificato in un codicillo al testamento, tutti i materiali dello studio compresi i disegni furono posti in vendita subito dopo la morte del pittore, e molto poco è sopravvissuto alla precoce dispersione. Più facile è stato invece identificare nell’inventario, pur nelle sommarie descrizioni dettate da Sebastiano Ceccarini, allievo del Mancini e nominato perito per la stima dei dipinti, “abbozzi” e “modelletti” , in parte ancor oggi conservati, per le numerose commissioni di carattere sacro e profano ricevute dall’artista nel corso di una carriera tranquilla ma fortunata e interamente circoscritta nei confini dello Stato pontificio.
Tra gli incarichi di maggiore prestigio agli occhi dei contemporanei, vi fu certamente quello per una composizione destinata a sostituire, sul pilastro della Veronica nella basilica di San Pietro, la grande pala su ardesia che Ludovico Cigoli aveva eseguito nella prima decade del Seicento nell’ambito dell’importante ciclo di storie petrine cui avevano partecipato, tra gli altri, Giovanni Baglione, Cristoforo Roncalli e Domenico Passignano. Raffigurante il miracolo di San Pietro che risana uno storpio, la pala del Cigoli di cui restano solo pochi frammenti è oggi documentata da incisioni e da una serie di disegni preparatori (per cui si veda Francesco Faranda, Ludovico Cardi detto il Cigoli, Roma 1986, p. 161-162, nn. 75 e 75 a-d).
Tutte le pale di quel ciclo furono sostituite nella seconda metà del Settecento da opere musive tratte da dipinti dei principali pittori romani: tra queste, la pala commissionata a Francesco Mancini nel 1745 e terminata nel 1749 fu trasposta in mosaico fra il 1751 e il 1758.
Ricordata dal Lanzi nella Storia pittorica dell’Italia quale capolavoro dell’artista marchigiano e descritta nel palazzo di Montecavallo, la pala di Francesco Mancini è stata recentemente identificata nell’Aula delle Benedizioni in Vaticano e finalmente pubblicata (Laura Vanni, Francesco Mancini e le accademie romane, in Francesco Mancini pittore (1679-1758): nuovi contributi (a cura di Bonita Cleri), Foligno 2012, pp. 155-57, fig. 7). Non del tutto convincente è l’ipotesi della studiosa, che identifica la pala vaticana con quella prestata dal signor Enrico Marini in occasione della mostra organizzata dai Virtuosi del Pantheon nel 1750: sebbene la descrizione corrisponda in pieno (“grande quadro d’altare rappresentante S. Pietro che risana uno storpio alla Porta del Tempio di Gerusalemme, di Francesco Mancini”) le enormi dimensioni della tela eseguita quale cartone per i mosaicisti vaticani e il suo (supposto e comunque provvisorio) passaggio di proprietà destano qualche perplessità nell’accogliere la proposta.
I punti di contatto tra il nostro disegno e la tela petrina riguardano essenzialmente il tema generale della scena e l’atteggiamento del protagonista: benché non caratterizzato dagli attributi specifici di Pietro, egli è infatti colto nel medesimo gesto di indicare il cielo con la sinistra mentre porge la destra a una figura seduta in primo piano, verosimilmente un paralitico o uno storpio più che un semplice mendicante. Anche l’architettura classicheggiante appena abbozzata sullo sfondo presenta motivi di affinità con quella che nel dipinto allude alla porta Speciosa del Tempio di Gerusalemme. Sebbene variato nella redazione finale, in cui l’apostolo Pietro è accompagnato da Giovanni, il gruppo principale sarà ripetuto nella medesima direzione, opposta a quanto mostrava la pala del Cigoli, lasciando quindi supporre che Francesco Mancini rielaborasse la scena petrina in relativa autonomia rispetto al pur autorevole precedente del pittore fiorentino.
Il nostro disegno per cui, allo stato degli studi manciniani, è difficile immaginare destinazioni diverse, corrisponde a uno stadio relativamente precoce nell’elaborazione compositiva di questa importante commissione, ricevuta dall’artista di S. Angelo in Vado a conferma della sua posizione nel panorama artistico del Settecento romano.


Ludovica Trezzani
Aprile 2015