Giuliano Briganti

Van Wittel

Gaspar van Wittel, detto Gaspare Vanvitelli
Amersfoort 1652/53 – Roma 1736
 
Veduta di villa Cenci a Roma
Sanguigna, penna e inchiostro su carta, mm 300x420
 
Provenienza: Roma, Bartolomeo Cavaceppi (seconda metà del XVIII secolo); Vincenzo Pacetti (1801); Ginevra, Paul Fatio; Ginevra, vendita Rauch (1960); Londra, Thos. Agnew and Sons (1961); Londra, K.J. Hewitt.
 
Esposizioni: The Italian Scene. Thos. Agnew and Sons, Londra 1961, n. 11; Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo. Roma, Chiostro del Bramante, 26 ottobre 2002 – 2 febbraio 2003, D 20.
 
Bibliografia: Dessins anciens et modernes. Vente Nicolas Rauch S.A., Ginevra 1960, p. 161; The Italian Scene. Catalogo della mostra, Londra 1961, n. 11; Giuliano Briganti, Gaspar van Wittel e l’origine della veduta settecentesca, Roma 1966, p. 276, 29d; Giuliano Briganti, Gaspar van Wittel. Nuova edizione a cura di Laura Laureati e Ludovica Trezzani, Milano 1996, p. 335, D 137; Ludovica Trezzani, in Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo. Catalogo della mostra, Roma 2002, p. 271, D 20; Alessandro Cremona, in Alberta Campitelli – Alessandro Cremona, La Casina Valadier. L’edificio e il suo sito, Roma 2004, p. 86, fig. 67; p. 88; p. 149, note 160-163.
 
Riconosciuto da Giuliano Briganti come probabile studio dal vero di un luogo non precisato, utilizzato da Van Wittel per il nucleo centrale di una veduta ideata, solo recentemente il disegno è stato identificato come raffigurante la villa e il giardino Cenci, alle pendici del Pincio. Con questo nome è infatti indicata sulla Nuova Pianta di Roma di Giambattista Nolli (1747) l’area di una villa parzialmente occupata da corpi di fabbrica sostanzialmente coincidenti con quelli che appaiono nel nostro disegno, situata sotto villa Medici e confinante con la “vigna” dei Padri Agostiniani di Santa Maria del Popolo, distrutta da Valadier per la realizzazione dell’emiciclo orientale di piazza del Popolo e della passeggiata del Pincio. Anche un rilievo della prima metà del Seicento definisce l’area “palazzo e giardino Cenci”, confermandone la proprietà e la denominazione al tempo in cui Van Wittel la ritrasse. L’edificio in alto a sinistra nel foglio sarebbe dunque identificabile con il corpo di fabbrica detto “il casone” nei documenti che si riferiscono alla vigna degli Agostiniani, mentre quello in alto al centro corrisponderebbe alla cosiddetta cappella di S. Gaetano sul muro di villa Medici, offrendo quindi coordinate abbastanza precise per la localizzazione della nostra veduta. 
Si trattava probabilmente di un luogo ben noto a Van Wittel, che fin dai primi anni ottanta del Seicento aveva scelto piazza del Popolo e villa Medici come soggetto delle sue prime vedute, e che dal 1689 aveva abitato nella vicina parrocchia di Sant’Andrea delle Fratte, in via della Purificazione.
L’identificazione del soggetto del nostro disegno da parte di Alessandro Cremona conferma quindi quanto già suggerito dai dati stilistici del foglio ove, diversamente dalle macchie arboree appena accennate, i corpi di fabbrica e l’edicola al centro del giardino sono tratteggiati con la precisione estrema che Van Wittel riserva ai suoi studi dal vero. Come si è detto, i suoi tratti distintivi compaiono in due diverse vedute dipinte (Briganti 1996, nn. 437 e 455) ove la villa e il giardino, situati ai piedi di un colle e in prossimità di una cascata, si affacciano sull’ansa di un fiume, con l’aggiunta, in un caso, di un tempio classico in primo piano.
Altrettanto interessante, se non di più, è la provenienza del foglio qui esaminato, che converrà ripercorrere a ritroso a partire dal giugno 1960, quando insieme ad altri trentadue disegni di Gaspar van Wittel appartenenti all’importante raccolta di Paul Fatio fu venduto a Ginevra dalla casa d’aste Nicolas Rauch. Si trattava, probabilmente, dell’ultima raccolta privata che riunisse un numero così elevato di fogli del pittore olandese; ad eccezione di un unico pezzo, tutti provenivano dalla collezione di Vincenzo Pacetti (Roma 1746-1820)[1]. Scultore e restauratore di antichità, Pacetti fu attivo tra il 1776 e il 1790 per il principe Marcantonio Borghese nella sistemazione della villa e del parco fuori Porta Pinciana, nonché responsabile nel 1788 del restauro delle antichità Giustiniani e del loro nuovo allestimento nella galleria da lui rinnovata. Accademico di San Luca dal 1778, ne fu Principe dal 1796 al 1801, ed è anche questo il motivo per cui nell’ultimo biennio del suo mandato si occupò dell’eredità di Bartolomeo Cavaceppi (1717-1799), curandone l’inventario e la vendita con esiti peraltro assai controversi.
Culminati nella mostra a lui dedicata nel 1994[2], seguita da nuove importanti ricerche di Chiara Piva, gli studi su Bartolomeo Cavaceppi, curatore della collezione di statue antiche del cardinale Alessandro Albani, hanno messo a fuoco non solo il suo ruolo centrale nel restauro di antichità nella Roma del Grand Tour e nella produzione di copie da modelli classici, ma anche la consistenza delle sue collezioni e l’organizzazione del suo studio, che già nel 1770 le guide indicavano tra le mete più interessanti. Visitato, tra gli altri, da Antonio Canova in occasione del suo primo viaggio a Roma, è riprodotto sul frontespizio della Raccolta d’antiche statue, busti e bassorilievi… restaurate da Bartolomeo Cavaceppi scultore romano, opera in tre volumi pubblicata dall’autore fra il 1768 e il 1772; l’inventario redatto sotto la supervisione di Vincenzo Pacetti tra il dicembre del 1799 e i primi mesi dell’anno successivo, completo della pianta della proprietà situata all’angolo tra via del Babuino e via di Gesù e Maria, ne restituiscono in qualche modo l’aspetto[3].
Oltre alle sculture in marmo, gesso e metallo, e ai materiali più strettamente pertinenti all’attività dello studio, l’inventario (tuttora inedito anche se frequentemente citato in vari contributi) elenca i volumi contenenti la collezione di disegni che lo stesso Winckelmann aveva giudicato così importante e completa da consentire lo studio di tutta la storia della pittura[4]. Tra i nuclei più importanti che la componevano basti ricordare la collezione del cardinale Silvio Valenti Gonzaga, acquistata nel 1762, e quella di Pier Leone Ghezzi[5]. Nel 1776 Cavaceppi la aveva proposta in vendita alla Camera Apostolica, quantificandola in 8.000 fogli divisi in cento volumi. Numerati da uno a cento (ma dieci risultarono mancanti fin dall’inizio, e altri quattordici sparirono a seguito di un furto con effrazione l’8 febbraio del 1800, con una probabile perdita di mille fogli), i volumi inventariati risultano composti da una cinquantina di pagine ciascuno, alcune contenenti più disegni, di cui solo i più importanti furono descritti e stimati singolarmente.
Valutati ben ventimila scudi dallo stesso Cavaceppi, tutti i disegni furono acquistati per 825  (compreso il trasporto!) dal suo esecutore testamentario, appunto Vincenzo Pacetti che ne registra il pagamento l’11 luglio del 1801 dopo che il 7 giugno gli eredi avevano rifiutato un’offerta di soli 750 scudi: una vendita evidentemente discussa, come quella delle sculture al principe Torlonia, se ancora nel luglio 1805 Pacetti riportava nel “Giornale” il decreto dell’Accademia di San Luca che la aveva autorizzata.
Collezionista di disegni egli stesso, Pacetti continuò ad acquistarne, singolarmente o in blocchi, almeno fino al 1809 pur avendoli proposti in vendita a Domenico Artaria di Napoli nell’autunno del 1808. A quel tempo la raccolta ammontava, sembra, a novemila disegni: per la maggior parte, ma non tutti, di provenienza Cavaceppi; dopo la morte di Vincenzo Pacetti nel 1820, il figlio Michelangelo li vendette al Museo di Berlino, allora diretto da G.F. Waagen che venne a vederli a Roma e li acquistò nel 1843 per diecimila scudi[6]. Secondo Lugt[7], una parte della collezione Pacetti sarebbe stata tuttavia venduta a Londra nel 1856, e da questo gruppo (non ulteriormente documentato) potrebbero venire i disegni poi acquistati da Paul Fatio.
Sebbene la loro provenienza dallo studio di Bartolomeo Cavaceppi non sia documentabile per assenza di marche di collezione e di descrizioni inventariali, essa sembra tuttavia probabile.
 
Tornando all’inventario già citato (consultato nell’esemplare in A.S.R., 30 Notai Capitolini, Ufficio 31, Nicola Ferri, ff. 564 e ss. “Inventarium Bonorum Hereditariorum Equitis Bartolomei Cavaceppi”), numerosi sono in effetti i disegni di veduta riuniti in volumi ad essi dedicati, sebbene non in maniera esclusiva. Stando alla ricognizione preliminare che li descrive solo in base all’argomento, sembrano esserci stati cinque volumi contenenti vedute e paesaggi, alcuni acquerellati. Tra i pochissimi fogli di cui si cita l’autore, troviamo nel tomo 8 una “veduta di Paese” di Gaspare Vanvitelli stimata due scudi (un disegno di Claude Lorrain “Grotta di Nettuno, tempio della Sibilla e veduta di Tivoli, un poco sciupato” era stimato quattro), mentre il tomo 81 conteneva sessantasei fogli di vedute di Roma di autori non precisati, stimate in blocco dodici scudi. E’ probabile che si nascondano qui quelle del cosiddetto “Anonimo Pacetti”, finite a Berlino e restituite da An Zwollo a Hendrick Frans van Lint di cui costituiscono il principale nucleo grafico.
“Gasparo dagli Occhiali” è presente altresì con “due quadri in misura di testa per traverso rappresentanti vedute di Roma… con cornici a tre ordini d’intaglio, dorate a oro buono, scudi 40”: tra i valori più alti (forse per la cornice?) attribuiti ai dipinti, peraltro non numerosi, da Stefano Tofanelli, “perito pittore”.
A differenza del gruppo di fogli Pacetti oggi a Berlino (che rappresentano tuttavia una parte minima di quelli di Vanvitelli o a lui attribuiti lì conservati con quella provenienza prima della seconda Guerra Mondiale), i disegni Fatio non presentano la lettera P (Pacetti), presumibilmente (ma non è certo) apposta al momento dell’ingresso nel museo, e mancante anche in un gruppo di fogli ceduti da Berlino al Martin von Wagner Museum di Wurzburg.
 
Un’altra differenza riguarda invece un aspetto più specificamente storico-artistico: mentre quelli oggi a Berlino, salvo uno, sembrano nascere autonomamente a scopo di vendita e si legano comunque al gruppo delle vedute-paesaggio di fantasia, il gruppo di disegni già in collezione Fatio a cui il nostro appartiene è costituito, con una sola eccezione, da studi preparatori, di insieme o di dettaglio e talvolta quadrettati, per vedute dipinte. Eseguiti “sul campo” e per un preciso scopo, i disegni di questo tipo rimasero a lungo nello studio vanvitelliano, nonostante qualche sparizione documentata anche dalle lettere di Luigi. Sono oggi conservati quasi esclusivamente in raccolte pubbliche, tra cui si segnalano in particolare oltre alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele, la Reggia di Caserta e il Museo di San Martino a Napoli che raccolgono i nuclei più significativi. E’ invece raro trovarli in collezioni private e sul mercato, dove compaiono solo occasionalmente: e la vendita della collezione Fatio nel 1960 è stata certo l’ultima occasione per vederne riuniti un numero così rilevante.
 
 
Ludovica Trezzani
Febbraio 2016
 
 

[1] V. Donati-R. Casadio, Vincenzo Pacetti scultore e restauratore nella Roma del Settecento, Ferrara 2009; I Giornali di Vincenzo Pacetti. Edizione a cura di A. Cipriani, G. Fusconi, C. Gasparri, M.G. Picozzi, L. Pirzio Biroli Stefanelli, Roma 2011.
[2] Bartolomeo Cavaceppi scultore romano (1717-1799). A cura di M.G. Barberini e C. Gasparri, Roma, Museo di Roma, 1994.
[3] C. Piva, La casa-bottega di Bartolomeo Cavaceppi: un laboratorio di restauro delle antichità che voleva diventare un’Accademia, in “Ricerche di Storia dell’Arte” 70, 2000, pp. 5-20.
[4] G. Fusconi, Frammenti della collezione di disegni Cavaceppi-Pacetti, in “Per Luigi Grassi. Disegno e Disegni”. A cura di A. Forlani Tempesti e S. Prosperi Valenti Rodinò, Rimini 1998, pp. 414-35.
[5] S. Prosperi Valenti Rodinò, La collezione di grafica del cardinal Silvio Valenti Gonzaga, in “Studi sul Settecento Romano” 12. Artisti e Mecenati, Roma 1996, pp. 139-41, e note 50-61.
[6] K. Cassirer, Die Handzeichnungensammlung Pacetti, in “Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen”XLIII, 1922, pp. 63-96.
[7] Marques de collection…, Amsterdam 1921, n. 2057