Giuliano Briganti

Ottavio Leoni

Roma 1578 – 1630
 
Ritratto di giovane donna
Matite nera e bianca su carta beige, mm 205x142
Al verso, una scritta a inchiostro non decifrabile
 
Ritratto di gentiluomo
Matite nera e bianca su carta beige, mm 187x125
 
Non sappiamo quando e in quali circostanze Giuliano Briganti sia venuto in possesso di questi due fogli; è certo però che Ottavio Leoni fu al centro dei suoi interessi almeno per un breve periodo quando, poco più che ventenne, nel 1942, pubblicò sulle pagine di “Primato”, la rivista diretta da Giuseppe Bottai, le poche pagine che costituiscono a tutti gli effetti il primo studio moderno sui disegni di Ottavio Leoni e l’inizio della sua riscoperta (La “fatica virtuosa” di Ottavio Leoni. In “Primato. Lettere e Arti d’Italia”, anno III, n. 5, 1 marzo 1942, XX, pp. 111-112). Un saggio critico, peraltro, raramente citato negli studi recenti, con l’eccezione del volume di Bernardina Sani che anche nel titolo recupera intenzionalmente la stessa frase del biografo Giovanni Baglione a cui per primo Briganti si era richiamato (La fatica virtuosa di Ottavio Leoni, Torino 2005).
Non conosciamo l’occasione e il motivo di quel breve, ma densissimo intervento: forse l’incontro con i ritratti di pittori disegnati e incisi da Leoni raccolti nel codice H della Biblioteca Marucelliana a Firenze: sulle pagine di “Primato” erano riprodotti quelli di Guercino, Simon Vouet, Gian Lorenzo Bernini, Annibale Carracci e Cristoforo Roncalli, mentre quello di Galilei illustrava, nello stesso numero della rivista, un articolo di Sebastiano Timpanaro sulla scienza galileiana. Briganti sottolineava altresì come Ottavio Leoni, ritrattista di successo presso principi e cardinali, insomma i potenti del suo tempo, avesse selezionato per riprodurli all’incisione i ritratti dei “virtuosi”: pittori, per l’appunto, ma anche matematici e poeti. Al centro della sua analisi, l’aggettivo “virtuoso”, usato dal Baglione a proposito di Ottavio Leoni e che Briganti riconduceva all’ambiente della Maniera a cui il padre di Ottavio, Ludovico Leoni, medaglista e incisore, era appartenuto: un mondo, caratterizzato dalla pratica del disegno condotta al virtuosismo estremo, a cui Briganti si era accostato per la prima volta nella sua tesi di laurea e a cui sarebbe tornato nel libro sulla Maniera italiana.
Così inaugurati nel 1942, gli studi successivi su Ottavio Leoni (di cui citiamo soltanto quelli di Bernardina Sani, Piera Giovanna Tordella e Francesco Solinas, i più recenti e completi) hanno reso noti i maggiori nuclei grafici dell’artista ricostruendone la provenienza, identificato molti fra i suoi committenti e stabilito una cronologia, facilitata peraltro dalle date apposte ai ritratti dall’artista stesso a partire dal 1600, e dalla numerazione progressiva, a partire dal 1615, dei fogli componenti il fondo nel Gabinetto dei Disegni di Berlino, recentemente pubblicato integralmente e analizzato da più punti di vista (Ottavio Leoni (1578-1630): les portraits de Berlin. A cura di Francesco Solinas, Roma 2013).
Databili tra la seconda metà degli anni novanta del Cinquecento e il 1629, i ritratti di Berlino tracciano infatti l’intero percorso di Ottavio Leoni, dai precocissimi esordi nella bottega del padre fino a un anno circa prima della morte, offrendo una ricchissima galleria dei personaggi che in quel primo quarto di secolo spiccavano a Roma per nascita, bellezza e potere. Nella loro sequenza cronologica, i fogli berlinesi consentono altresì di ricostruire lo sviluppo stilistico dell’artista e il suo passaggio dall’uso quasi esclusivo della matita nera, utilizzata in replicate ombreggiature oltre che nel contorno della figura, a quello estremamente pittorico delle matite bianca, nera e rossa su carta azzurra che distinguono la sua produzione matura.
Per questo motivo, oltre che per specifici confronti, è da ritenere che il ritratto di giovane donna qui esaminato debba situarsi sotto il profilo della tecnica e dello stile negli ultimi anni del Cinquecento, prima del soggiorno mantovano di Ottavio Leoni nel 1598-99. Possibili confronti rimandano infatti a fogli berlinesi (KdZ 17124-17125; Solinas 2013, nn. 3-4) databili tra 1595 e 1597, o al più tardi con KdZ 17121 (Solinas 2013, n. 11), probabile ritratto di Anna Crescenzi verso il 1600. Unico ostacolo a questa datazione precoce, la pettinatura della giovane donna, i cui riccioli rialzati sulla fronte sembrano richiamare una moda che i disegni di Ottavio Leoni registrano a partire dal 1605 (KdZ 17118 e 17123; Solinas 2013, nn. 28 e 34: ritratti di “Margherita orzarola” e di “Spinula di Borgo”).
I riscontri più convincenti sono però istituibili con un disegno non datato in cui una giovane donna, peraltro così somigliante alla nostra da poterne essere la sorella e come lei ripresa quasi frontalmente, volge impercettibilmente lo sguardo verso lo spettatore; lo stesso tratto morbido e deciso della matita nera ne disegna le guance rotonde, le sopracciglia arcuate sugli occhi chiari, le labbra carnose e appena dischiuse, mentre un fitto tratteggio segna l’ombra del collo e lo sfondo della figura, secondo un procedimento che Leoni non tarderà ad abbandonare. Il disegno citato, venduto da Christie’s a New York il 1 ottobre 1996 (lot 56), faceva parte della collezione di Richard Krautheimer: e non è forse un caso che due disegni così vicini tra loro fossero stati raccolti da due fra i maggiori storici dell’arte del Novecento, pur così distanti nei loro studi.
 
Più problematico e di minore qualità il ritratto maschile anch’esso riconducibile, nella tecnica a matita nera appena lumeggiata di biacca nei risalti della gorgiera, alla prima attività dell’artista. Di nuovo, i riscontri possibili sono con alcuni fogli di Berlino: KdZ 17137 (Solinas n. 5) databile 1595-97, del tutto confrontabile al nostro per tecnica e stile anche se tracciato con mano più sicura, o con il ritratto di Luca Stella, KdZ 17110 (Solinas n.6), di poco più tardo. Se si osserva però la somiglianza fisionomica con il personaggio ritratto in KdZ 17116 (Solinas n. 20) apparentemente lo stesso uomo ritratto però verso il 1605 e di qualità innegabilmente più alta, non si può non avanzare una diversa ipotesi e supporre che il nostro disegno sia un ritratto dal vero verso il 1605, eseguito da un allievo di Ottavio Leoni in una tecnica che a quella data egli aveva già abbandonato.
 
 
Ludovica Trezzani
Febbraio 2016